Indipendentismo o Nazionalismo?

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Alla luce della recente e definitiva svolta della Lega Nord in senso “italianista”, e della conseguente scissione dei “duri e puri” rimasti fedeli all’indipendentismo, quale potrebbe essere una scelta giusta? Visto che spesso e volentieri si confonde il termine “stato” con il termine “Nazione”, non riteniamo propriamente corretto limitarsi alla contrapposizione dei due schieramenti sopracitati. Dall’altra parte invece, come dimostrano gli eventi in Catalogna, l’indipendentismo fine a se stesso è ben poco utile, perchè è alquanto ingenuo sperare che gli enti sovranazionali possano favorire la disgregazione degli stati ottocenteschi dell’Europa Occidentale, così come è ingenuo pensare che gli stati stessi di rettaggio giacobino possano concedere dei referendum per l’indipendenza, soprattutto se si tratta di territori economicamente produttivi.

La soluzione, dunque, sarebbe il prendere coscenza in senso nazionalista, ma non esaltando un inesistente unico popolo italiano dalle Alpi alla Sicilia, bensì etnonazionalista, vedendo la Lombardia per quello che è, ossia un’etno-nazione che ha sempre svolto il ruolo di ponte tra il Mediterraneo e l’Europa Centrale (cosa che riguarda anche il Nord-Est reto-venetico), plasmata dall’identità gallo-italica e longobarda. Anche se i problemi di matrice economica non vanno affatto trascurati, i tempi oggi sono innanzitutto maturi per un identitarismo alpino-padano in chiave comunitaria, identitarismo che è stato a lungo marginalizzato dalla stessa Lega Nord, la quale ha preferito diventare parte integrante del sistema Italia.

Magari, quella che proponiamo non è una strada che porta a soluzioni pratiche nell’immediato presente, ma è altrettanto utopico e insensato pretendere di poter fondare una nazione, basandosi solo su ragioni fiscali, considerando anche che la Lega Nord negli ultimi 30 anni in questo senso, abbia fallito miseramente.

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Grande Lombardia: omaggio a Gilberto Oneto

oneto-terraCome si può capire dal nome del nostro movimento, noi Lombardisti, da coerenti etnonazionalisti riteniamo che il termine Grande Lombardia sia il migliore per indicare l’Italia settentrionale per una serie di motivi che noi abbiamo già esposto in molte altre sedi. In molti però storcono il naso, ricordandoci che quella che noi intendiamo non sarebbe altro che la Padania.

Tuttavia, per chiunque ne fosse interessato, è assai facile trovare non poche legittimazioni storiche ed etno-linguistiche per definire con il termine Lombardia, in senso stretto la parte continentale dell’Italia nordoccidentale (ossia la Lombardia Etnica), ed in senso largo per tutte le terre cisalpine (Grande Lombardia). 

Delle preziose informazioni a riguardo, sono state date da uno dei principali ideologi della Lega Nord Gilberto Oneto, nella rivista bimestrale “Quaderni Padani” (https://archivio.associazionegilbertooneto.org/), nella sua pubblicazione “Come si chiama questa terra”.

Cartina dell’anno 1590, il cui autore è il cartografo fiammingo Abraham Ortelius.

In questo articolo pubblichiamo le parti salienti di questa sua pubblicazione, riguardanti il termine Lombardia:

“A riprova della totale identità fra Lombardia e Padania viene la denominazione della Lega Lombarda che, nelle sue varie edizioni, ha unito città oggi lombarde, piemontesi, venete, emiliane e romagnole. La presenza di queste ultime dimostra che nel XII secolo la Lombardia aveva inglobato anche le aree dell’esarcato che non erano mai state longobarde. Ancora nel settecento le carte lucchesi indicavano i territori ai propri confini settentrionali con lo Stato di Modena come “Parte della Lombardia” . Lo spazio denominato Lombardia si è contratto col risorgimento con la creazione di una regione Lombardia entro confini che non avevano riscontro nella storia. Il Ducato di Milano aveva infatti altri limiti e la regione moderna ha inglobato terre che erano state piemontesi (Lomellina, Oltrepo) e veneziane (Bergamo, Brescia) per lunghi secoli. Scompare nell’Ottocento l’uso quasi millenario del nome Lombardia per indicare la Padania. Alla regione padana viene da allora attribuita.
una serie di nuove denominazioni, tutte scrupolosamente e inevitabilmente italo-centriche: Italia Superiore (termine usato da geografi e studiosi come Costantino Nigra), Italia settentrionale, Settentrione, Italia del Nord, Nord o Norditalia (nomi impiegati normalmente sia nel linguaggio burocratico che in quello popolare). Tutte queste denominazioni peccano di semplicismo e tendono a ridimensionare l’identità padana ad una appendice di un centro romano e italico. L’intento riduttivo e di annientamento è evidente: a nessuno verrebbe in mente di chiamare la Scozia Inghilterra del Nord o la Baviera Germania (o, peggio, Prussia) del Sud. In questo equivoco gioco sono caduti anche molti autonomisti padano-alpini che hanno accettato di chiamarsi “nordisti” e che utilizzano termini come “Altaitalia”, “Repubblica del Nord” e simili”.

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Elezioni del 4 marzo, tra politica e ideali

Giudicando la scena dal punto di vista dei nostri (non solo) principi, Salvini che giura sulla Costituzione della RI e sul Vangelo (come Boldrini, Bergoglio o anche come un qualsiasi neocon americano), verrebbe da dire che il tale non sia altro che un mediocre che pur di avere la speranza di aumentare il proprio peso politico sarebbe disposto a rinunciare alla coerenza, ed anche ad alcuni nobili principi (purtroppo traditi anche ben prima della svolta italianista di Salvini) I quali hanno contraddistinto la Lega nei suoi primi anni dalla fondazione. Alla fine però, nonostante ciò non si può biasimarlo più di tanto, perchè al giorno d’oggi crescere politicamente, soprattutto se si parla di alti livelli, vuol dire innanzitutto il sapersi adattare all’ambiente, o in altre parole essere disposti a rinnegare  a dei punti della propria ideologia ritenuti troppo scomodi, nel nome di un mero opportunismo, così come fare compromessi di dubbio valore morale e di dubbia utilità anche nel lungo termine (basta ricordare gli inciuci tra le LN e Berlusconi).

Molto spesso si da per scontato che le idee forti siano difficilmente applicabili alla massa, motivo principale per il quale la cosidetta estrema destra, per avere qualche possibilità di avere un successo concreto debba avvicinarsi alle varie centro-destre. Anche se è vero che certe idee non siano per tutti, qui non si può fare a meno di mettere in luce un altro problema. La cosidetta destra “mediocre”, molto spesso riesce ad emergere, mettendo in ombra altre forze politiche più “estreme”, e per questo marginali, non solo grazie alla massa che tende alla moderazione, ma anche grazie a coloro, che a parole essendo duri e puri, preferiscono sostenere con i fatti non quei movimenti che gli sono più affini ideologicamente, ma quelli che hanno più seguito, avendo posizioni più accettabili per il sistema, come in questo caso lo è diventata la Lega di Salvini. Attenzione, qui non vogliamo criticare quelli che in mancanza di una valida alternativa al marasma neomarxista, preferiscono votare per il meno peggio, e nemmeno quelli che decidono di partecipare alle elezioni politiche, magari anche per grossi partiti avendo buone intenzioni, ma coloro che volendo sempre avere il piatto pronto e pur di non rischiare di restare emarginati, sono disposti ad assumere come proprio leader coloro che nei fatti si dimostrano talvola poco diversi dagli esponenti principali del sistema che dicono di criticare.

In vista delle prossime elezioni, come abbiamo già fatto in un’altra sede noi di Grande Lombardia invitiamo gli identitari lombardi a votare per i candidati della Lista Fontana (essendo le loro proposte le più accettabili dal nostro punto di vista, trattandosi di autonomia sia fiscale che culturale, cioè il minimo che la Lombardia meriterebbe), per quel che riguarda l’ambito “nazionale”, non occorre certo una mente geniale per capire che le opzioni preferibili sarebbero appunto la Lega di Salvini (nonostante tutto), oppure l’astensione, anche se qualcuno potrebbe ritenere opportuno votare Casapound nonostante i disaccordi sulla visione dell’Italia. In poche parole vorremmo ricordare che pur ritenendo necessario il cercare di influire sul quadro politico con i mezzi disponibili, la cosa da non fare mai è quella di rinnegare i propri ideali, solo per questioni di convenienza per quanto estemisti ed utopici possano apparire. In un’epoca in cui la menzogna è legge, anche dire o sostenere la verità è un atto rivoluzionario.

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Perchè siamo Lombardisti

Per chi ci conosce bene appare evidente che da un punto di vista ideologico noi di Grande Lombardia assumiamo posizioni controcorrente non solo nel contesto di questa società globalizzata in cui sono in voga i disvalori mondialisti, ma anche nel contesto della cosidetta “area” nazionalista/identitaria italiana in cui nella stragrande maggioranza dei casi fa da padrone l’idea italianista, spesso ispirata al famigerato ventennio e che dunque non vede di buon occhi qualsiasi istanza non solo indipendentista ma anche autonomista o federalista, bollandola come un qualcosa di dannoso in questi tempi, che non farebbe altro che danneggiare la “Sacra Patria” italiana.

Anche se per qualcuno è un concetto duro da comprendere è un controsenso allucinante cercare di combattere il pensiero unico esaltando gli stati sovranazionali ottocenteschi come appunto l’Italia, la Francia, la Spagna o il Regno Unito. Perchè se analizziamo la storia di questi stati notiamo facilmente che essi hanno avuto delle dinamiche incredibilmente simili al sistema globalizzato che oggi cercano di imporci. Sia in Italia che in Francia (non è un caso se si dice che la Repubblica Italiana sia una creazione francese) e nella Spagna di Franco, ma anche nella Gran Bretagna (basta ricordare i crimini perpetrati dagli inglesi a danno degli irlandesi) si è sempre cercato di assimilare le minoranze etno-linguistiche a volte con le menzogne e e le falsificazioni e a volte anche con la violenza. E badate bene che qui non parliamo solo di quelle minoranze comprendenti poche milgiaia di individui, spesso situate nelle zone presso i confini, ma di quelle realtà etniche e storiche, che possono essere tranquillamente considerate delle nazioni senza stato  non solo grazie all’estensione del proprio areale paragonabile agli odierni stati europei di medie dimensioni, ma anche grazie all’esistenza di una propria lingua e di una propria cultura particolare che in molti casi fu considerata prestigiosa in passato, pensiamo all’occitano, al veneto ma anche alle loquele gallo-italiche come il piemontese e il genovese.

Proprio per questi motivi appare chiaro che tutti i discorsi il cui obiettivo sarebbe quello di affermare che gli italiani dovrebbero smetterla di cianciare di “deliri campanilisti” e “nazileghisti” perchè dovremmo stare più uniti in questi tempi si differenziano ben poco dalle quattro frasi fatte di coloro che affermano che l’euroscetticismo sarebbe un male oppure che le razze e le etnie non dovrebbero esistere in quanto questa divisione creerebbe guerra fra poveri (sic!). Proprio perchè noi siamo etnonazionalisti coerenti (se il primo beota che passa ci da dei “regionalisti localisti” non è un problema nostro) rifiutiamo qualsiasi tipo di mondialismo in qualsiasi scala, cioè sia quello che vuole fare gli italiani costringendo i lombardi etnici a rinnegare la componente gallo-romanza e mitteleuropea della propria identità (come avviene purtroppo con successo dal 1861 e badate bene che affermare ciò non significa affatto rinnegare la propria componente sudeuropea) , così come quello che vorrebbe un Europa abitata da “brasiliani” che si considerino cittadini del mondo.

In poche parole, chi critica l’immigrazione afro-asiatica ma rimane indifferente o adirittura felice davanti alla scomparsa dei popoli autoctoni alpino-padani dovrebbe tacere, chi invece si lamenta di essere “schiavi di Roma” e di dover mantenere il Mezzogiorno, ma considererebbe come “nuovi lombardi” qualsiasi extraeuropeo, dovrebbe fare lo stesso.

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Anche quelle piccole sono vittorie

Ieri si è concluso il referendum per l’autonomia delle Regioni “Lombardia” e Veneto, le quali hanno visto un’affluenza rispettivamente del 40% e del 60%.

In entrambi i casi più del 90% dei votanti si è espresso a favore di maggiore autonomia dallo stato italiano. Anche se i detrattori cercano di sminuire i risultati del referendum lombardo (fare lo stesso con quello veneto è un pò più dura) allundendo all’affluenza che è stata inferiore al 50%, non si può certo trascurare il fatto che 3 milioni di residenti della Regione Lombardia si siano fatti avanti per esprimere il proprio consenso su quella che viene anche chiamata questione settentrionale. Appare evidente che in Veneto il successo sia stato più grande,  tuttavia anche i risultati del referendum lombardo non possono essere considerati un fallimento, considerando anche l’assenza del quorum.

Oltre ad essersi presentata l’opportunità di miglioramento della situazione da un punto di vista fiscale, opportunità che i lombardo-veneti hanno saputo sfruttare relativamente bene, i risultati delle votazioni evidenziano anche altre tendenze positive:

  • La maggioranza schiacciante dei votanti, come è stato evidenziato sopra, ha votato per il sì, mentre gli scettici e i nemici dichiarati del referendum (nonchè i nemici di ogni istanza di autodeterminazione, dai neofascisti ai marxisti arcobalenati) hanno pensato bene (senza ironia) di non votare proprio. Questo dimostra che la parte più sana della popolazione della Lombardia e del Veneto si è dimostrata politicamente più attiva, nonchè più interessata al proprio destino e al destino della propria terra, il che ci rende alquanto fiduciosi.
  • In Veneto c’è stata un’affluenza maggiore che in Regione Lombardia, mentre nella Regione Lombardia stessa le affluenze nel bresciano e nel bergamasco sono state nettamente più alte che a Milano. In poche parole si è visto maggiore interesse a tematiche di autodeterminazione in quelle aree che sono state meno colpite dal degrado migratorio degli ultimi decenni. Anche se qualcuno potrebbe pensare che questa sia una coincidenza, questo dato darebbe conferma del fatto che nulla ci vieta di conciliare la lotta all’immigrazione di massa con la lotta per il diritto all’autodeterminazione dei popoli granlombardi, ormai ridotti a minoranza nella propria terra.
  • In Europa stiamo assistendo anche ad altre tendenze e cambiamenti positivi come in Catalogna e in Europa Centrale dove alle recenti elezioni in Cechia, Austria e Germania hanno avuto fatto evidenti progressi i partiti euroscettici contrari alle politiche migratorie di Bruxelles.

Ora non ci resta altro che vedere se i risultati di ieri porteranno veramente qualcosa di concreto, anche solo in termini economici e dal nostro canto vogliamo ribadire sia ai Lombardi che ai Veneti di buona volontà di sfruttare bene anche le altre occasioni come queste che capiteranno in futuro, innanzitutto per se stessi e per dimostrare che la nostra causa non è persa come molti vorrebbero farci credere,  e non certo per fare un favore alla Lega Nord. E infine ricordatevi che il vero concetto di Lombardia e di Veneto è ben più ampio e profondo di quello compreso dai suddetti enti amministrativi attuali e che entrambe meritano di essere considerate molto di più che delle semplici regioni italiane più ricche delle altre.

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Andate a votare!

Come molti sapranno, domani si terrà il referendum sull’autonomia della Regione Lombardia e della Regione Veneto.

Per quanto le suddette entità amministrative non abbiano confini etnolinguistici corretti, va comunque considerato che una devoluzione dei poteri da Roma a queste regioni sarebbe di gran benificio per i Granlombardi che abitano sotto la loro giurisdizione.

Del resto niente vieta che i confini possano essere in seguito modificati con referendum locali, come quello che una coalizione di cittadini sta avviando nelle province di Novara e del Verbano Cusio Ossola per passare dalla giurisdizione della Regione Piemonte a quella della Regione Lombardia.

Abbiamo spesso sentito dire da più fonti che si tratta di un referendum inutile perché in quanto consultivo non è vincolante e le Regioni potrebbero già di loro iniziativa chiedere più poteri.

In effetti, si può rinoscere ai detrattori del referendum che non si conosce l’efficacia pratica del voto visti che non vi è alcun vincolo e che dovrà nascere una trattativa tra la Regione e il governo centrale per ottenere maggiore autonomia.

Nonostante ciò, quello che sicuramente si può ottenere è un chiaro messaggio della popolazione contro lo sfruttamento assurdo e i soprusi burocratici (non esiste pari al mondo) cui i Granlombardi sono soggetti da parte della Repubblica Italiana.

Abbiamo infatti davanti ai nostri occhi il caso della Comunità autonoma della Catalogna che, stufa di regalare ben 8 miliardi al resto del Regno di Spagna, sta chiedendo l’indipendenza perché è stato loro rifiutato un serio federalismo.

Ma se la Catalogna ha diritto di fare la vittima perché in 5 milioni di abitanti devono versare 8 miliardi a Madrid, cosa dovrebbe fare la Regione Lombardia che in 10 milioni di abitanti versano tra i 50 e i 70 miliardi annui netti a Roma?

Una cifra procapite che è oltre 5 volte quella catalana!

Che poi fossero soldi che aiutassero veramente l’economicamente arretrato Suditalia a uscire dallo stato in cui trova!

In realtà, questi soldi finiscono principalmente ad alimentare il parassitismo romano e alle varie organizzazioni criminali di stampo mafioso presenti nel Sud della penisola.

Per queste ragioni possiamo quindi pensare che il voto di domani possa essere considerato una sorta di elettrocardiogramma della popolazione.

Vedere insomma se l’ “organismo” è ancora voglioso di vivere e sconfiggere il parassita che lo affligge o se è oramai arrivato allo stadio finale e si è quindi arreso al decorso fatale della malattia.

Per questo Grande Lombardi invita tutti i Granlombardi che hanno diritto a votare nei referendum che si terranno domani a partecipare e a votare Sì.

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La democrazia repressiva e la sua battaglia contro l’odio e il complottismo

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Сome accade negli ultimi anni, anche questa volta, nel mondo occidentale il mese di giugno trascorre nel nome dell’apertura e della tolleranza nei confronti delle minoranze-lobby, che nonostante tutto non sarebbero ancora abbastanza privilegiate. Ovviamente non mi riferisco solo alla recente approvazione del matrimonio omosessuale in Germania, ma anche alle oscene marce organizzate da quei covi di pervertiti delle lobby LGBT, che purtroppo in questo ultimo mese hanno avuto luogo in diverse città italiane, con tanto di demonizzazione di chi si è opposto anche in modo pacifico.

Attenzione, qui non si tratta di istigare alla violenza oppure all’emarginazione o all’odio nei confronti di quella categoria di persone con diversi orientamenti sessuali (come fanno per esempio nella filooccidentale Arabia Saudita), ma di evidenziare come la maggior parte delle iniziative politiche “umanitarie” e “democratiche” vengano usate per la distruzione della civiltà europea.

 In questa sede non ho intenzione di discutere sul fatto se l’omosessualità stessa sia un fenomeno accettabile o meno, anche perchè nonostante tutto dovrebbe pur essere ovvio a qualsiasi persona ragionevole che tale fenomeno, per motivi di buon senso, non può essere tollerato in quei casi in cui si parla dell’istituto della famiglia, oppure quando gli omosessuali diventano delle lobby che iniziano a pretendere che sia la società a doversi adattare a loro.

Ciò nonostante sono ben consapevole del fatto che per l’ameba occidentale media o per altri soggetti succubi del pensiero della Scuola di Francoforte, sia bastato leggere la parte precedente di questo articolo per giungere alla conclusione che l’autore sarebbe un pericoloso neonazista che baserebbe la sua ideologia sull’odio, la paura, il pregiudizio o magari anche sull’ignoranza (?).

In effetti capita spesso di essere accusati di sostenere idee che si basano sull’odio oppure sulle “paranoie complottiste”. In verità però basta avere un minimo di cervello e di senso critico per capire che queste accuse non solo sono dei metodi semplici per cercare di zittire l’avversario senza argomentare, ma anche delle accuse con ben poco senso, fatte principalmente con lo scopo di far leva sulla debolezza, l’ingenuità e l’ignoranza del popolino.

Per prima cosa bisognerebbe capire chi lo stabilisce che cos’è l’odio? Significa parlare di qualcuno o qualcosa  con parole sprezzanti? Oppure forse per essere accusati di questo grave crimine basta anche rivolgere una critica equilibrata esprimendo il proprio disaccordo su un determinato argomento? Questa domanda è doverosa perchè oggi vengono accusati di odio non solo quelli che istigano ad uccidere gli immigrati o gli omosessuali, ma anche chi in tono pacato si permette di dire che l’immigrazione di massa e la tutela di certe minoranze, che in Occidente diventano lobby, stia sfuggendo di mano. Eppure se si parla di odio in quanto sentimento (sentimento che prova qualsiasi essere umano) anche le frazioni politiche opposte lo provano, o volete forse dire che le varie denigrazioni mediatiche nei confronti dei movimenti nazionalisti/identitari, le aggressioni dei centri sociali non siano anche esse espressioni di odio? O forse qualcuno avrebbe anche il coraggio di insinuare che queste sarebbero solo questioni che possano stare a cuore esclusivamente a dei neonazisti complottisti ed asociali?

E qui si pone un’altra questione riguardante un altro termine oggi molto in voga, cioè il complottismo. Si tratta di un altro termine che viene usato a destra e a manca per indicare chi insinua che nei gesti e nelle affermazioni dei politici ci possa essere un secondo fine. Lasciando da parte i vari patetici accostamenti a teorie che supportano l’esistenza degli UFO, dei rettiliani, siamo davvero così sicuri che l’inaffidabilità del politico medio sia veramente una teoria basata sulla paranoia? Eppure anche in Italia, il cittadino medio non si fa alcun problema ad affermare che la politica moderna sia marcia proprio per il medesimo motivo. Questo porta alla conclusione che l’accettazione di una teoria o la ridicolizzazione di essa, di solito non dipendono tanto dalla probabilità che essa sia vera, ma dall’inclinazione politica ed ideologica di una determinata persona. Gli stessi che muovono accuse di complottismo, difatti non si fanno problemi a loro volta di riconoscere l’esistenza di complotti razzisti, omofobi o nazifascisti che siano, quando gli fa comodo. Per esempio quando dicono che Salvini ed altri politici leghisti seminino odio nei confronti dello straniero per alimentare una guerra tra poveri (?), oppure in quei casi in cui ti dicono che i movimenti populisti dell’Europa Occidentale siano finanziati da Putin. Qui, non si vuole prendere le difese di questi sopracitati soggetti, spesso ingiustamente ritenuti dei paladini dell’Europa, ma ritengo doveroso evidenziare il fatto che chi parla di complottismo lo fà o per ipocrisia, oppure perchè è semplicemente una pecora, che si illude del fatto che il mondo sia trasparente. Questo ovviamente lo dico senza negare che in molti casi siano presenti entrambi le motivazioni.

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Padania o Grande Lombardia?

fllgaAnche se sovente veniamo associati alla Lega Nord da diverse categorie di persone (dai fascisti-statalisti ai simpatizzanti della sinistra occidentale), non ci stancheremo mai di rimarcare la nostra estraneità a questo partito. Anche se agli occhi di una persona poco documentata la LN possa sembrare un movimento etnonazionalista, essa in verità non lo è mai stata. Già negli anni 80, pur avendo da subito attirato al suo interno persone di diverse sfumature ideologiche, essa nacque come un movimento libertario i cui discorsi economici ricoprivano un primo piano, lasciando ai margini la questione immigratoria insieme a quella etno-linguistica. Uno a questo punto potrebbe controbattere dicendo che la questione economica alla fine è ciò che interessa di più alla massa e che dunque sarebbe l’unico metodo per attirare un numero consistente di gente. Peccato però che in quei casi in cui si fa leva solo ed esclusivamente sulle questioni fiscali, senza una solida e precisa ideologia che non cambi a seconda di come soffia il vento (ricordiamo i dilemma “Padania libera-Federalismo fiscale-Lega Nazionale) non si andrà mai da nessuna parte perchè finirà che ognuno metterà i propri interessi personali al di sopra di quelli della comunità, giungendo in questo modo ad inconcludenze su tutti i fronti ed a conflitti interni.

In questi tempi bui l’etnonazionalismo comunitarista (le cui priorità non escludono affatto le questioni economiche,ma le contestualizzano in un discorso più ampio)rappresenta l’unica giusta ideologia che possa unire i lombardi di buona volontà per l’autodeterminazione, proprio perchè antepone gli interessi della comunità etnica a quella dei singoli e delle lobby foraggiate dall’attuale sistema globalizzato. Il tempo delle divisioni tra i guelfi e i ghibellini, tra i comunisti e i fascisti è finito da un pezzo; oggi la contrapposizione è tra gli autoctoni e gli allogeni e tra i nazionalisti e i mondialisti.

Saluu Lombardia!

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MMDCCLXX Ab Urbe Condita

                                                              http://www.grandelombardia.org/it/wp-content/uploads/2017/01/trium.jpg

L’anno nuovo si apre nel segno di Giano, dio squisitamente italico-romano preposto agli inizi, il cui duplice volto guarda al passato e al futuro rivelando un terzo volto proiettato sul presente, che saremmo noi. Il nome di Ianus allude alla porta (ianua) posta a guisa di passaggio tra il vecchio e il nuovo ma anche tra l’esterno e l’interno e la sua arcaicità ci comunica quanto la valenza da esso incarnata fosse celebrata dai nostri antichi Padri italici e romani.

Giano si pone al principio delle cose materiali e immateriali e apre il nuovo anno facendo da traghettatore che aiuta ad attraversare il guado dal passato al futuro, come un ponte che serve a metterci in comunicazione con il nuovo senza dimenticare il vecchio perché le nostre radici affondano nella Storia e da essa traggono quella linfa vitale necessaria ad intraprendere il cammino identitario. Senza passato non c’è futuro, ma non si deve dimenticare la dinamica del movimento che proprio Giano ci insegna, per evitare così di fossilizzarci, di impantanarci in una fase di stallo poco proficua senza osare per guardare dinnanzi a noi, al domani che ci attende, si spera, radioso, e che va affrontato con eroico piglio giorno dopo giorno.

Il nostro Capodanno civile (ma anche sacro) segue quello astronomico che abbiamo celebrato il 22 dicembre scorso, nel solstizio d’inverno la cui vera epifania si manifesta nel giorno di Natale (quello vero, ovviamente), festeggiato il 25; in quella data il sole, dopo la sua caduta nelle tenebre, risorge e lentamente riprende quel cammino che lo porterà a guadagnare terreno sulla notte, sull’oscurità, sino a raggiungere il suo massimo trionfo nel solstizio d’estate.

Giano è creatore e procreatore, padre degli dei, nostro e del mattino, inaugura l’anno nuovo denominando il primo mese tanto che nella religione italica arcaica ricopriva una funzione preminente, più importante di Saturno e di Giove stessi essendo egli l’iniziatore di tutte le cose; nel suo nome avevano inizio le cose materiali (naturali ed agresti, ma anche civili, ad esempio) e spirituali (cicli di rinnovamento che si ricongiungono poi all’ultimo giorno dell’anno sotto gli auspici di Saturno) tutelate dal suo sguardo bifronte rivolto sia verso ciò che è stato sia verso ciò che sarà, consegnandoci il presente che noi rappresentiamo ogni giorno della nostra vita terrena.

È proprio alla luce di tutti questi interessantissimi aspetti tramandatici dai culti tradizionali e dalla loro memoria difesa e conservata dai custodi della Tradizione (indirettamente, pure dalla Chiesa cattolica romana che si è appropriata degli antichi simboli riciclandoli in chiave cristiana), che il 29 dicembre scorso, con alcuni sodali, ho partecipato ad un suggestivo rituale, semplice e frugale, oserei dire archetipico, ma proprio per questo frutto della genuina spiritualità di colui che lo ha predisposto. Da questa celebrazione emerge la potenza del simbolo, perché noi abbiamo bisogno di simboli per poterci congiungere sacralmente al ricordo dei nostri Avi e della loro inestimabile cultura religiosa. Capiamoci: qui non si tratta di scimmiottare la liturgia cattolica (che, anzi, è quella che ha scopiazzato malamente i riti gentili degli Indoeuropei mescolandoli alle stramberie abramitiche) o di limitarsi alla pratica esteriore come fosse sterile esercizio narcisistico: la questione è molto più importante e profonda.

Se ci fermassimo al rito, alla liturgia, avremmo capito poco o nulla; noi dobbiamo fare tesoro dei simboli, dei gesti, delle parole per poter – mi si passi il termine – digerire al meglio e assimilare la valenza più intima dei culti tradizionali, che era quella di rinnovarsi mediante l’esercizio spirituale interiore, finalizzato a cambiare in meglio, affinando la nostra sensibilità spirituale e culturale. È fondamentale vivere queste occasioni come dono tradizionale dei Padri che ci invitano, mediante essi, ad entrare in comunione con loro per poi mettere in pratica, quotidianamente, gli insegnamenti eterni di sapienza gentile che oggi più che mai dobbiamo recuperare. Tutto questo non può venire dal cristianesimo, dal giudaismo, dall’islam, da altri culti stranieri o peggio ancora dall’ateismo che strizza l’occhio alla paccottiglia new age e wicca (forme di modernismo consumistico, di deviazione); può solo venire da quella sottile linea rossa di Sangue ariano che ci ricollega alle origini etno-culturali d’Italia e d’Europa ma non per giacere in una fase di stagnazione, bensì per affrontare al meglio le sfide di tutti i giorni che il futuro ci riserva.

Radunati attorno ad un falò inscritto in un cerchio di sassi, nella suggestiva cornice naturale di uno scorcio di Lario reso suggestivo dall’antica presenza in zona di genti gallo-romane devote a Cerere, i convenuti hanno celebrato la rinascita solstiziale del sole ma con lo sguardo di Giano rivolto al Capodanno, essendo agli sgoccioli del MMXVI. Il cerchio ha trovato il giusto equilibrio nella fondamentale presenza dei quattro elementi ossia acqua, fuoco, terra e aria, accompagnati dai doni offerti durante il rito tra cui il ruolo di protagonista tocca ovviamente al vino. Abbiamo bruciato il consueto vecchiume che volevamo lasciarci alle spalle per affrontare con la giusta serenità il domani, liberandoci da quei pesi che gravano sull’anima, anche per cercare così di raggiungere la giusta sinergia con le forze della natura circostanti, scacciando quanto di negativo potesse intromettersi. Il rituale si svolge in pieno spirito comunitario di solidarietà ed unione cameratesca, in armonia con la natura circostante e sotto un cielo invernale grigio che rende però magica l’atmosfera comense lacustre e prealpina, ed affascinante lo scenario che ci fa da sfondo.

Come ho ricordato poco sopra non ci si può fermare al rito e alla pratica esteriore, altrimenti il tutto rimane sterile per quanto sia attraente; si deve metabolizzare quanto il rito ci comunica anche per riuscire a leggere tra le righe e comprendere appieno il significato più intimo di questa frugale celebrazione, una celebrazione oserei dire davvero pagana ossia agreste, rustica, in linea con la semplicità perduta che i nostri Avi mettevano nel culto. E così facendo la vera potenza del simbolo non rimane sulla carta ma viene assunta da noi, illuminati dallo spirito della Tradizione che ci infonde sapienza, conoscenza, capacità introspettiva e anche la volontà di essere esempio per gli altri, a partire dai nostri cari e dalle persone a noi più vicine.

Credo infatti che la valenza più importante e bella di questi genuini momenti di condivisione stia proprio nel farsi comunità, nel ritrovarsi attorno ad un fuoco sacro immersi nella natura e riscoprirsi così parte di un territorio e di una cultura che hanno fortissimamente bisogno di noi e dei modelli positivi che dobbiamo incarnare, per non morire. Essere strumenti di un disegno cosmico latore di grandi ed elevati ideali implica grande forza di volontà e sacrificio, non è sicuramente da tutti e per tutti, ma dobbiamo comunque cercare nel nostro piccolo di brillare per squarciare il velo dell’omologazione ai tenebrosi dettami del conformismo borghese e mondialista e raddrizzare il tiro che la modernità ha preso almeno da settant’anni ad oggi.

Sono grato a chi mi ha permesso di prendere parte ad una cerimonia densa di simboli e di spunti per la riflessione, importanti se utili a migliorare sé stessi e l’ambiente circostante nel nome dell’Identità e della Tradizione che gli Avi ci hanno tramandato. Grazie al sacro consesso si riscopre una parte basilare della spiritualità locale e nazionale e si può anche cogliere come il cristianesimo cattolico abbia pesantemente assorbito (e riutilizzato) i fasti gentili per farsi strada nell’Europa romana; paradossalmente la Chiesa cattolica offre il destro per scavare nella sua liturgia cogliendo così le vere radici di molta parte (se non tutta) del calendario annuale da essa svolto. So che diversi, tra chi sta leggendo, potrebbero dirmi che a suo modo la Chiesa è tradizione iniziatica a fronte di una gentilità antica “interrotta”; personalmente, credo che la Tradizione vada recuperata possibilmente depurandola da ogni patina cristiana, che ne ha pervertito il senso, perché solo così possiamo gustare pienamente di quel calice colmo di delizia primigenia donata a noi dagli antichi progenitori arii.

E solo così possiamo inoltre divenire coerenti araldi del messaggio identitario e patriottico che deve essere corroborato dalla tutela delle vere radici d’Europa, che ovviamente non sono quelle con cui amano trastullarsi preti, rabbini e imam e tutti i vari reazionari di area cristiana, convinti di difendere la più intima essenza del nostro Continente biascicando formulette religiose scritte in libri estranei alla cultura indoeuropea.

Sperando abbiate trascorso una lieta fine d’anno – sebbene quello appena trascorso ci abbia riservato moltissime amarezze in termini di polis – concludo augurandovi un MMXVII (come il Natale scorso caduto, peraltro, di soledì!) all’insegna del rinnovamento comunque conscio del proprio passato, la cui migliore lettura ci viene fornita dall’antica datazione romana Ab Urbe Condita. Sta infatti nell’eterna romanitas la chiave della resurrezione spirituale e materiale, scandita dalla rinascita del sole, frutto di una decisa presa di coscienza identitaria che ci renda finalmente Italiani valenti e orgogliosi della propria inestimabile eredità latina, sotto l’egida di Giano che ci guida alla nuova avventura pronta a dipanarsi lungo il susseguirsi delle stagioni di questo MMDCCLXX AVC.

Saluu Lombardia!

Ave Italia!

Paolo Sizzi

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Europei ed Eurorimbambiti

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Questa settimana è stata segnata da 4 eventi a dir poco clamorosi, cioè la presa di Aleppo da parte di Assad, con la conseguente indignazione dell’Occidente, l’uccisione dell’ambasciatore russo in Turchia e infine l’attentato a Berlino, città, che per motivi che ormai conosciamo bene, non è più così estranea alla realtà turca e mediorientale. Attentatore che pochi giorni dopo fu ucciso in una sparatoria contro la polizia, nella nostra Milano. Del resto è naturale, siamo nella UE, che per principio ha la libertà di movimento di chiunque, no? Ma il fatto che colpisce di più, non sono tanto gli eventi stessi di per sè, ma la reazione dell’Occidente che si rivela a volte strana, a volte semplicemente deplorevole.

Ovviamente, nessuno, nonostante gli attentati di Parigi, di Bruxelles, di Nizza e di Berlino, ha deciso di rinnegare il sacro dogma “multiculturale”, ma anzi si è pure rimarcato di voler continuare la politica di tolleranza, di apertura e di difesa dei valori occidentali. E qui, talvolta subentra anche l’altra faccia della medaglia, ossia coloro che сriticano l’immigrazione afro-asiatica, solo per il fatto che il problema starebbe nell’islam stesso e non nella deleteria filosofia partorita dalla Scuola di Francoforte, adottata dall’Europa come modello, dal dopoguerra in poi. Che senso avrebbe combattere l’islam per difendere dei pseudovalori come i “diritti civili”, la società consumista e altre oscenità, che non sono altro che dei sintomi di una civiltà decadente, in attesa di essere sopraffatta da altri popoli più forti con filosofie di vita più tradizionali? A qualcuno piace associare gli islamisti radicali ai nazionalisti europei, ma guardate che nei fatti i  migliori alleati di questi beduini sono appunto i governi occidentali, che favoriscono i loro esodi in Europa, dichiarando guerra ai regimi laici e autonomi del Nordafrica e del Medio Oriente, i quali talvolta hanno una funzione di blocco dei flussi migratori (ricordiamo Assad, il famigerato Gheddafi, ma anche l’Iraq, dove le armi di distruzione di massa non sono mai state trovate, però in compenso abbiamo l’ISIS).

La colpa dei disastri mediorientali, così come quella dei recenti attentati in Europa, dunque non è dei cosidetti neonazisti populisti, ma degli stessi poteri forti che ormai da decenni fanno di tutto per marginalizzare la cultura tradizionale europea imponendoci la società consumista e multirazziale. E difatti gli arabi, immigrati di seconda-terza generazione che vivono in Europa,  che spesso e volentieri si avvicinano a correnti islamiche radicali, non se la prendono con i governi occidentali, anzi, capita spesso di notare le bandiere della Free Syrian Army nei cortei a favore dei “rifugiati”, ossia degli invasori, che vengono in Europa per vivere di assistenza sociale. La Free Syrian Army  viene spacciata dai media occidentali come opposizione siriana moderata ma in verità di siriano e di moderato ha ben poco, anche perchè è sostenuta non solo dagli USA, ma pure dall’Arabia Saudita, il paese fondamentalista, che però a differenza dell’Iran (denigrato sovente dai media occidentali) è tra i più grandi alleati dell’Occidente. Quindi, questi signori, così come quelli europei che amano baloccarsi con i sensi di colpa nei confronti del Terzo Mondo hanno ben poco da lamentarsi, delle atrocità del malvagio uomo bianco, visto che questi jihadisti “naturalizzati” dimostrano di essere semplicemente delle pedine funzionali ai veri carnefici del Medio Oriente, ossia USA e Arabia Saudita. E qui vorrei ricordare anche che la sinistra occidentale si diceva a favore dello spodestamento di Gheddafi, anche se oggi usa come scusa le guerre provocate in Medio Oriente, per accogliere parassiti di tutto il Terzo Mondo.

Appare inoltre emblematico il fatto che dopo la presa di Aleppo da parte dell’esercito siriano, sostenuto dai russi, a Parigi viene pure spenta la Tour Eiffel, in segno di solidarietà con i terroristi, e dopo pochi giorni viene  ucciso a colpi di pistola l’ambasciatore russo in Turchia, in segno di vendetta, sempre per Aleppo.

Da una parte dunque abbiamo i mondialisti occidentali e islamisti (i quali per quanto possano sembrare all’apparenza diversi, hanno molti più punti in comune di quello che si potrebbe pensare), dall’altra invece i nazionalisti europei, ma anche quei mediorientali che a casa loro combattono con i fatti il demone atlantista-saudita e i suoi tirapiedi. In poche parole noi siamo per l’Europa e non per il concetto distorto di Occidente, imposto a noi ormai da 70 anni.

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