La situazione geopolitica in Ucraina

Se quasi tutti sono a conoscenza dei disordini che stanno affliggendo l’Ucraina negli ultimi tempi, pochi sanno quali sono le vere ragioni dietro questi confltti.

I media occidentali sostengono che la causa originaria di questi conflitti sia stata la grande corruzione del governo filorusso di Janukovyč, corruzione che ha raggiunto un livello di insostenibilità tale da portare la gente a scendere nelle piazze a protestare per la disperazione.

Siamo tuttavia sicuri che la situazione sia cosí semplice?

Per capire meglio la situazione ucraina, bisogna innanzitutto ricordare che stiamo parlando di un paese che si trova in una posizione strategica tra l’Unione Europea e la Federazione Russa, un paese con tante risorse naturali come la celebre “terra nera” (il suolo agricolo piú produttivo del mondo) e i giacimenti di gas naturale, un paese politicamente sempre spaccato a metà tra l’ovest nazionalista ed antirusso (e quindi oggi filoatlantista) e l’est russofilo e russofono.

In poche parole, una vera e propria polveriera.

Tra i nazionalisti ucraini, ma non solo, si sente sovente dire che fino all’anno scorso l’Ucraina era troppo dipendente dalla Russia e che non era governata dai suoi legittimi proprietari, cioè gli Ucraini.

Sicuramente l’ideale di lottare per una maggiore indipendenza dalla Russia di Putin (che è tutt’altro che uno stato ideale) con il fine di avere un governo composto da Ucraini che hanno a cuore gli interessi della propria nazione è di per sé lodevole.

La nobiltà di questa lotta per l’autodeterminazione svanisce tuttavia nel momento in cui l’obiettivo è entrare in organizzazioni sovranazionali anti-identitarie come la NATO e l’UE.

Non è quindi un caso che le proteste di dicembre siano iniziate dopo che Yanukovich decise di non firmare il trattato di associazione con l’UE.

Non occorre quindi una mente brillante per capire che, facendo leva sul malcontento popolare, gli USA, e in misura minore l’UE, favorirono le proteste e i disordini di massa per far salire al potere un loro governo fantoccio, come del resto fecero abbastanza recentemente con la cosiddetta “Primavera araba” in Medio Oriente.

Se poi si ricorda che politici americani del calibro di McCain e Kerry sono arrivati a Kiev per sostenere i manifestanti sulla Maidan e che, durante un colloquio telefonico intercettato, il ministro degli esteri estone Paet disse all’alto rappresentante per gli affari esteri dell’UE Ashton che a febbraio i manifestanti sulla Maidan sono stati uccisi dai cecchini sostenitori della “rivoluzione” (notizia peraltro non smentita da nessuno e che il governo golpista venuto al potere in seguito non ha nemmeno indagato), la situazione diventa ancora piú chiara.

Ma la cosa piú ridicola di tutta questa vicenda è che, nonostante questa “rivoluzione” sia stata in gran parte portata avanti a livello mediatico per l’autodeterminazione degli Ucraini, dopo il golpe sono saliti al potere personaggi non aventi nulla a che fare con il popolo ucraino come gli ebrei Yatsenyuk, Turčynov, Tymošenko e Avakov.

Il fatto che la corruzione non sia ancora stata neanche in parte liquidata fa quindi pensare che i disordini siano cominciati per delle rivalità tra vari clan di corrotti e che alla fine ha vinto il clan piú comodo agli USA.

Se da una parte il golpe ha tranquillizzato la parte occidentale del paese, dall’altra ha tuttavia ha fatto alzare in rivolta la parte orientale russofila (che, ricordo, si è ritrovata parte dell’Ucraina per via di Lenin e Chruščëv), che non vuole entrare a far parte della NATO e dell’UE.

In Crimea (dove circa il 60% della popolazione è etnicamente russa) la rivolta contro il nuovo governo di Kiev culmina con il referendum del 16 marzo in cui un’affluenza dell’84% e un 97% di voti favorevoli sancisce la secessione dall’Ucraina e l’annessione alla Federazione Russa.

Dimenticando il principio di diritto internazionale dell’autodeterminazione dei popoli servito qualche anno prima a legittimare la secessione del Kosovo dalla Serbia (avvenuta tra l’altro senza consultazione popolare), gli USA dichiarano nullo l’esito del referendum in Crimea in quanto contrario alla costituzione ucraina (?).

In questi ultimi mesi si sta registrando una vera e propria repressione della popolazione russofona con l’esercito ucraino che riceve ordine di sparare sui manifestanti civili (che vengono sovente bollati come terroristi) in quanto “colpevoli” di sostenere la divisione del paese, quando in realtà la maggioranza di questi sostiene semplicemente la federalizzazione del paese.

Questa escalation di violenza ha raggiunto il culmine con l’incidente di Odessa del 2 maggio, in cui una cinquantina di filorussi che si erano barricati in un edifico del sindacato sono morti tra le fiamme appiccate proprio con l’intento di eliminarli.

A mio avviso, per risolvere la questione ucraina non è necessario unire i distretti di Donetsk o di Luhansk alla Russia: basterebbe semplicemente fare dell’Ucraina uno stato federale.

Del resto è totalmente folle pensare di mantenere uno stato unitario quando l’ovest e l’est del paese parlano lingue diverse, hanno diversi orientamenti politici, hanno diversi interessi geopolitici, etc.

Ma a quanto pare il nuovo governo di Kiev è troppo impegnato a seguire i dettami della NATO per rendersene conto.

L’auspicio quindi è che il conflitto in questione non diventi un’escalation incontrollabile (visto che coinvolge le due piú maggiori potenze militari planetarie) ma si risolva con una presa di coscienza da parte di Russi e Ucraini del fatto che in questa guerra civile non ci guadagna nessuno dei due.

Alcune fonti:

http://italian.ruvr.ru/news/2014_05_23/Putin-sanzioni-contro-Mosca-servono-agli-USA-per-vantaggi-nel-mercato-europeo-9186/#

http://italian.ruvr.ru/news/2014_05_23/Putin-sanzioni-contro-Mosca-servono-agli-USA-per-vantaggi-nel-mercato-europeo-9186/#

http://italian.ruvr.ru/2014_05_03/Kramatorsk-e-in-corso-il-combattimento-6914/

http://www.corriere.it/esteri/14_maggio_11/ucraina-filorussi-votano-referendum-separatista-nuovi-scontri-f0209b4c-d8da-11e3-b8f7-5c1c0bbdabb2.shtml

http://www.libertaepersona.org/wordpress/2014/05/fra-i-litiganti-russia-e-ue-il-terzo-usa-gode/

argumentua.com/novosti/80-predsedatelei-sudov-vernulis-v-svoi-kresla-korruptsiya-nikuda-i-ne-ukhodila

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Lezioni di storia

Mi capita ogni tanto di vedere su Facebook alcuni post di vecchi compagni di scuola media.

Frequentavo una classe abbastanza impegnativa, in cui l’autorità docente veniva imposta con coercizione in ogni aspetto dell’insegnamento.

Ricordo in tal senso che le materie umanistiche erano condotte su una nota certamente poco neutrale, visto anche il passato dell’insegnate in questione, ex sessantottina ed iscritta al PCI, ed in particolare fatti storici, come spesso accade nelle aule scolastiche, erano esposti secondo una visione politica che poteva spaziare da liberal-progressista ad apologia del socialismo universalista.

Gli studenti piú attenti hanno assimilato bene quelle lezioni, e ad oggi sono convinti – nel senso più letterale del termine – votati e votanti a tali ideali politici.

In un recente post un mio conoscente si vantava di aver fatto bloccare la pagina di “Revisionismo Storico” su Facebook per incitamento all’odio raziale, ostentando come trofeo il ringraziamento ricevuto dall’azienda per la segnalazione.

Non mancava però di lamentarsi per la scarsa celerità dell’intervento.

Non vorrei qui parlare sulla questione di quanto una democrazia debba tollerare gli intolleranti e del diritto di ognuno di esprimere la proprio opinione, mi limito a considerare la visione che avranno di noi i posteri (metamorfosi etnica permettendo) tra qualche generazione.

Quando gli alunni prediletti diventeranno maestri dei loro discepoli, quale sarà la verità da trasmettere?

Con quale ipocrisia possiamo oggi insegnare certe idee politiche, oramai in pasto anche alle masse più grette, quali libertà di pensiero e di opinione vendendole come dei valori fondamentali per una società giusta ma operando al contempo una damnatio memoriae così autarchica nei confronti di altre idee e di altri principi?

Quando nel 1924 Piero Gobetti venne arrestato con l’accusa di essere un sovversivo antifascista, fu liberato venti giorni dopo per l’insorgenza dell’opinione pubblica e per l’intervento di alcune alte cariche del governo, perché all’epoca l’Italia era ancora ufficialmente uno Stato democratico.

Gobetti fondò alla fine dello stesso anno “Il Baretti”, giornale di stampo liberale, attirandosi ulteriormente le antipatie del regime.

Un anno e mezzo fa circa arrestavano un ragazzo di ventitre anni, moderatore di un forum di estrema destra – non me ne vogliano i puristi della terminologia – con l’accusa di associazione terroristica e di diffusione di idee inneggianti all’odio etnico e razziale.

È tenuto in galera sei mesi in attesa di giudizio, prima a San Vittore e successivamente trasferito a Regina Coeli.

Viene condannato a tre anni di domiciliari, un successo per l’avvocatessa che lo difendeva, in quanto il Gup ne aveva chiesti 5 di reclusione.

Il giudice stabilisce inoltre il divieto per il colpevole di accedere alla rete internet per 5 anni, onde porri ogni possibile freno al perdurare dell’attività propagandistica.

Se avessimo pazienza di aspettare i canonici quarant’anni per far passare una generazione sarebbe divertente scoprire come un insegnate di Storia giustificherebbe, magari a poche lezioni di distanza, queste due vicende giudiziarie ancor prima che politiche.

Dovrebbe forse avere doti Catilinarie nel simulare e dissimulare ogni cosa, e mi chiedo inoltre cosa risponderebbe ad un alunno attento, o curioso, che gli domandasse a proposito di certe similitudini tra queste due lezioni.

“È la Libertà, bellezza!”.

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Considerazioni sulla situazione ambientale lombarda

Iniziando un discorso sui problemi ambientali della Lombardia, non si può non ricordare come già nel 1845 Carlo Cattaneo affermasse che “questa terra (la Lombardia, nda) per nove decimi non è opera della natura; è opera delle nostre mani; è una patria artificiale”.

Effettivamente non gli si può proprio dar torto considerato che statistiche del 1846 posizionavano la Lombardia al secondo posto nella classifica delle regioni europee piú popolate (dopo il Belgio e prima dell’Inghilterra).

Tuttavia la situazione odierna raggiunge soglie veramente critiche.

La pianura padana, un tempo ricoperta da fitti querceti tanto cari ai nostri Avi, è oggi ridotta a una zona da terzo mondo ipercementificata, inquinata e sovrappopolata da immigrati italiani ed extraeuropei.

La situazione è particolarmente problematica nel milanese e nella zona pedemontana insubrica, nel hinterland torinese, nella zona pedemontana del bergamasco e del bresciano, nonché nel reggiano e nel modenese.

La densità abitativa in molte aree raggiunge e supera i 1000 abitanti per chilometro quadrato e spesso non viene neanche minimamente compensata da zone verdi e corridoi ecologici.

Territori relativamente meno urbanizzati sono, oltre che le zone di montagna, la fascia collinare e pianeggiante da Cuneo a Parma, la bassa pianura da Lodi a Mantova e pressoché tutta la Lombardia orientale.

Aree che non hanno vissuto il forte sviluppo degli anni ’60 e ’70 del triangolo industriale, ma che oggigiorno stanno comunque assistendo alla medesima sottrazione quotidiana di migliaia di metri quadrati di terreno vergine per farne scriteriate distese di cemento e asfalto.

E il fatto che questa cementificazione, che ha la sostanza di crimine verso l’umanità, sia stata fatta, ed è tuttora fatta, con strumenti legali rappresenta in realtà un’aggravante a questo vergognoso scempio.

I nostri problemi non si limitano tuttavia allo sconsiderato consumo di suolo.

Risulta difatti inevitabile constatare come l’estetica e la funzionalità delle aree urbanizzate scendano troppo spesso sotto il limite della decenza (per non parlare poi del fatto che in queste zone spadroneggia tranquillamente la criminalità allogena, prime fra tutte le varie mafie importate dagli immigrati italiani).

Un importante cenno va poi riservato alle infrastrutture.

Si assiste difatti a un costosissimo e irrazionale incremento della dimensione della rete autostradale che sta irreversibilmente danneggiando molti territori (si pensi tra tutti alla Pedemontana, autostrada alquanto inutile visto che, invece di collegare direttamente Varese, Como, Lecco e Bergamo, fa un zig-zag nell’alto milanese distruggendo i pochi boschi ivi rimasti), quando sarebbe molto meglio sviluppare la rete ferroviaria (ad oggi in uno stato decisamente pietoso) e sopratutto la rete di navigazione fluviale (un tempo tra le migliori d’Europa).

Oltre ad alleggerire il traffico automobilistico tutto ciò consentirebbe di essere meno dipendenti dal petrolio, risorsa praticamente assente in Lombardia e che è destinata a esaurirsi nei prossimi decenni.

Se comunque non bastasse la rapace gestione del territorio a farvi riflettere sul degrado ambientale della Lombardia, diamo ora un’occhiata a un altro grosso problema della Lombardia: l’inquinamento.

Oltre a essere regimate in letti artificiali del tutto irrazionali, le acque sono molto inquinate (i celebri “gamber pescaa ind el Lamber” sono oramai un ricordo da decenni).

L’elevato traffico automobilistico, gli inefficienti impianti di riscaldamento e i numerosi processi industriali delle aziende presenti in Lombardia fanno inoltre sí che a Milano, a Torino e in tante altre città lombarde si raggiungano ogni anno pericolose concentrazioni di polveri sottili nell’aria, favorendo così le malattie respiratorie.

L’accumulo di inquinanti è difatti favorito dalla conformazione del territorio lombardo, circondato su quasi tutti i lati da catene montuose, e dal fatto che nelle zone del globo con clima temperato prevalgono gli spostamenti d’aria da ovest verso est.

La deforestazione e l’avanzata del cemento rendono inoltre le estati in pianura, già di per sé calde, umide e poco ventilate, sempre meno sopportabili per gli esseri umani e altri esseri viventi.

Infine, il degrado dell’ambiente lombardo è ulteriormente accentuato dall’introduzione di specie animali e vegetali aliene dannose per l’ecosistema, avvenuta per colpa della globalizzazione dei commerci e dello sviluppo dei viaggi intercontinentali.

La diffusione di specie dannose come la zanzara-tigre, il pesce siluro, il cinipide del castagno, la mosca asiatica, l’ambrosia, la panace di Mantegazzi, il poligono del Giappone, l’ailanto, la paulownia, etc. è inoltre favorita dal fatto che negli ultimi anni il clima della Lombardia è diventato sempre piú caldo (conseguenze del riscaldamento globale e dell’inquinamento atmosferico sul territorio).

Per evitare di superare il punto di ritorno, risulta chiaro come sia indispensabile ridurre, adeguatamente e rapidamente, la pressione umana sul suolo lombardo.

E il primo passo da fare in questa direzione deve riguardare la risoluzione dell’insostenibile pressione demografica in Lombardia tramite il blocco di ulteriori flussi immigratori, da qualsiasi parte essi provengano.

La conservazione dell’ambiente e delle numerose bellezze naturali della Lombardia va di pari passo a quella della nostra identità etnica e culturale.

Solo essendo orgogliosi della nostra identità riusciremo a garantire un futuro degno alla nostra terra e ai nostri posteri e di rimanere nella storia come popolo forte e rispettabile e non come popolo servile che in cambio di una partita di calcio e del consumismo è disposto a farsi sfruttare economicamente dallo stato italiano e a farsi sostituire nella propria terra da allogeni provenienti da ogni dove.

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Tutto in famiglia

Molti ritengono la famiglia la base della società, punto di partenza per lo sviluppo personale in una vasta pluralità di ambiti.

Questo punto è doppiamente vero, specie per quanto riguarda la famiglia Italica cosí etnicamente definita. È innegabile infatti che dalla prima istruzione al futuro lavorativo è la famiglia che plasma l’individuo, in relazione alle proprie possibilità sia mentali che economiche. E ciò accade in tutti i Paesi del mondo.

Ciò che differenzia la famiglia italiana, anche solo dalle corrispettive Europee, è l’imperante “familismo amorale” che impone il nucleo famigliare, la cui ampiezza può essere anche molto elevata, come fine e non solo come base dell’operato di ogni suo componente.

È tipicamente italiano il fenomeno per cui la persona si presenti come un tutt’uno con il corredo parentale che la precede, e che si riesca a immaginare il concetto di emancipazione solo come un adeguamento e un adattamento delle potenzialità personali ai bisogni di quella organizzazione chiusa e gerarchizzata che è la famiglia.

Basti pensare a titolo di esempio alla numerosissime imprese a conduzione familiare presenti nel Paese, che diventano sempre piú chiuse e torbide a mano a mano che si procede verso Sud.

Non è difficile immaginare come una tale arretratezza culturale sia alla base di un altrettanto grave arretratezza economica, con una società chiusa in compartimenti stagni miranti al proprio tornaconto anziché ad un reale benessere collettivo.

Da questo substrato, a metà fra la commedia (all’italiana) e la tragedia, credo derivi l’orribile abitudine di appore il cognome prima del nome nella firma.

È questa la morale che l’imponente immigrazione italiana dei decenni passati ci ha lentamente imposto come normalità.

Ma questa è solo una parte del problema, quella storicamente piú rilevante. Oggi, in effetti, come contraltare di questa composizione sociale si trova una visione della famiglia del tipo “progressista”, dove non vi sono piú limiti e chiusure, dove il ruolo di genitore è, per cosí dire, aperto al pubblico, e dove un numero identifica padre madre e intermediari.

Non sfugge che il “progresso” visibile oggi non sia altro che il riconoscimento da parte delle Istituzioni di forme di parafilia via via piú gravi e degenerative. Per avere uno scorcio di futuro basti pensare alla situazione di Paesi come la Danimarca, considerato il piú aperto (e disponibile) in questo ambito, dove è possibile per una coppia gay ottenere il corredo cromosomico mancante semplicemente chiedendolo in prestito ad un’altra coppia omosessuale del sesso opposto, in un reciproco scambio e in felice armonia.

L’organizzazione mondiale della sanità definisce l’omosessualità come una “variante naturale del comportamento umano”, cosí giustificando implicitamente ogni politica volta a racimolare consensi con leggi familicide.

Abbiamo forse perso in nome del politicamente corretto anche quei pochi principi cardini che ci rimanevano e che nel corso dei millenni hanno dato le fondamenta alla Civiltà nella sua forma piú elevata, il che dovrebbe far riflettere anche i piú scettici – o progressisti, dipende dove vediamo il Dogma – sulla possibilità che forse quello era un modello funzionate.

L’idea che siano uomo e donna a poter procreare non è certo un’invenzione sessista e omofoba, ma certo l’intento sempre più evidente di molti governi Europei di farla passare come tale lascia anche nello spettatore comune un vago sentore di sospetto riguardo a chi sia rivolto l’operato dei nostri rappresentanti.

Per il bene non solo della Lombardia, ma di tutta la civiltà Europea minacciata da una decadenza sotto falso nome, è necessario recuperare il concetto di famiglia Naturale, da cui sviluppare una società sana e scevra da tarli e paranoie collettive.

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Considerazioni sulla situazione sociopolitica della Svezia

Devo riconoscere che, quando tre anni e mezzo fa decisi di trasferirmi a Stoccolma per motivi di studio, non mi aspettavo affatto una degenerazione sociale e morale di tali proporzioni in Svezia.

Questo shock potrebbe essere dovuto al fatto che ero già stato con due miei cari amici brianzoli a Stoccolma a fine 2008 e la situazione mi era parsa nettamente ”migliore” rispetto a quella odierna: in quel periodo c´erano infatti, per le vie di Stoccolma, molti piú svedesi e molti meno allogeni di quelli che ho avuto modo di notare nei primi giorni del 2014.

Nel giro di 5 anni la situazione è peggiorata notevolmente e sembra peggiorare sempre piú giorno dopo giorno, ora dopo ora.

Gli immigrati sono cosí numerosi da risultare ben inseriti in qualsiasi livello della società.

Sono operai, impiegati, cassieri di supermercato, bancari, gestori di discoteche, proprietari di negozi di vestiti a Stureplan e Östermalm (le zone piú chic e snob della cittá), proprietari di bar e ristoranti italiani (che attirano molta clientela svedese) e stanno addirittura cominciando a costruirsi immobili, palazzi e ville.

Come origine c’è di tutto e di piú: dai sudamericani ai mediorientali, dagli africani agli asiatici.

Accogli chi è “meno fortunato” oggi, domani e dopodomani e ottieni il risultato che gli immigrati sono arrivati a essere il 20% delle persone che risiedono in Svezia.

Veramente inquietante.

Ma ancora piú inquietante è che non esista una vera e propria forza, politica e non, in grado di opporsi a questa invasione a tutti gli effetti.

I Democratici Svedesi (SverigeDemocraterna), che negli anni novanta erano stati curiosamente etichettati come ”neonazisti” da qualcuno, oggi sono oramai diventati l’ennesimo partito populista che nei fatti non vuole opporsi all’ordine mondialista.

Da quando Jimmy Åkesson ha letteralmente svenduto (se non regalato) lo SD, il mondialismo può purtroppo fare il gioco che vuole in Svezia.

L’alleanza di “centro-destra” che si è creata nel settembre del 2010 tra i cosiddetti “Moderaterna”, il “Folkpartiet” e il “Centerpartiet” non ha fatto altro che peggiorare la situazione: l´immigrazione extraeuropea in Svezia continua ad aumentare vertiginosamente e, per il biennio 2014-2015, sono previsti arrivi per l’incredibile cifra di 147.000 nuovi immigrati!

Non capisco proprio come sia possibile che così tanti Svedesi non si rendano conto che è insostenibile un simile trend immigratorio, non solo da un punto di vista etnico, sociale e culturale ma anche economico.

Molti immigrati sono poveri e molto prolifici e hanno quindi il diritto a ricevere sussidi pubblici: chi volete che mantenga questi numerosi nuovi ospiti?

La cosa piú fastidiosa è però l’odio e l’arroganza che questi immigrati hanno nei confronti di chi è cosí generoso con loro da accoglierli nel loro paese offrendo loro una vita agiata.

Non molto tempo fa ho avuto modo di “confrontarmi” con un ragazzo palermitano che lavora a Gamla Stan e che ha avuto il coraggio, o forse l’arroganza, di palesare le intenzioni della maggior parte degli immigrati.

Per la chiarezza con cui è esposto il messaggio, mi limito quindi a riportare quanto scrittomi in una discussione su Facebook.

“quelli come me lavorano a Galma stan, con altri arabi primo noi palermitani siamo figli degli arabi secondo io sono rom ma tu manco lo sai che esitstono rom italiani perhcé il nostro obbiettivo e quello di conquistare löeuro+a e lo stiamo facendo perche tutti I proprietary di ristoranti e bar a gamla stan sono arabi”.

Parole che si commentano veramente da sole.

Ma se la situazione svedese è sicuramente molto grave, la situazione odierna della nostra amata Lombardia è, a mio avviso, addirittura peggiore di quella della Svezia e di qualsiasi altra realtà nazionale europea.

Mentre in Svezia, cosí come in Francia o in Germania, gli indigeni sono quantomeno la maggioranza assoluta qualificata, noi Lombardi siamo oramai la maggioranza relativa da tempo.

Sperando che l’esposizione di questa mia testimonianza possa aiutare molti Lombardi ed Europei a riflettere, ricordo con forza che, se non ci muoviamo concretamente il prima possibile, il nostro destino è l’estinzione.

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Considerazioni economiche sull’immigrazione

Dato che la dottrina politico-economica di sistema afferma che l’immigrazione è un’importante risorsa, se non fondamentale, per le economie sviluppate e in calo demografico dell’Europa, ritengo opportuno illustrare, soprattutto a chi non ha mai approfondito la questione o non ha le conoscenze per farlo correttamente, l’insensatezza di queste conclusioni a livello teorico nonché chiarire alcune questioni alla luce della realtà in cui si trova il nostro continente.

Si consideri la piú nota delle giustificazioni dell’immigrazione, cioè che “gli immigrati servono perché fanno i lavori che noi non vogliamo piú fare”.

Si tratta di una giustificazione piuttosto ridicola perché la causa per cui certi lavori non vogliono piú essere svolti è che non sono remunerati adeguatamente: basterebbe semplicemente lasciar agire la legge della domanda e dell’offerta per far aumentare la remunerazione e quindi trovare persone disposte a lavorare!

Molti allora cercano di arrampicarsi sugli specchi e iniziano a dire che “l’immigrazione serve per colmare la carenza di offerta di lavoro nei paesi ricchi e per ridurre l’eccesso di offerta di lavoro nei paesi poveri portando cosí a una convergenza dei salari reali nel lungo termine e quindi a un miglioramento del benessere per tutti”.

Mettendo da parte il fatto che appellarsi alla carenza di lavoratori quando la disoccupazione giovanile a livello europeo supera il 20% potrebbe risultare piuttosto ridicolo, bisogna comunque riconoscere che gli immigrati aumentano effettivamente l’offerta di lavoro.

Siamo tuttavia sicuri che ciò sia veramente un bene per la popolazione indigena?

Che effetti ha un aumento dell’offerta di lavoro sulla popolazione indigena?

Per la legge della domanda e dell’offerta, l’aumento dell’offerta di lavoro causata dagli immigrati comporta una riduzione del salario reale (cioè il salario corretto per l’effettivo potere di acquisto) che, da una parte, fa sí incrementare il benessere perché gli immigrati fanno aumentare la produzione riducendo i prezzi (grazie alle economie di scala), ma, dall’altra, fa diminuire il benessere perché gli immigrati fanno salire la domanda aggregata aumentando cosí il livello dei prezzi.

Secondo la teoria economica, l’effetto positivo dovrebbe essere superiore a quello negativo, e quindi l’immigrazione sembrerebbe effettivamente una risorsa (anche un aumento demografico autoctono lo sarebbe, dato che aumenta l’offerta di lavoro!), ma bisogna ricordarsi che i modelli economici fanno assunzioni semplicistiche che possono ottenere risultati opposti rispetto alla realtà.

Una prima semplificazione è che gli immigrati abbiano lo stesso impatto a livello sociale degli individui indigeni, assunzione altrettanto smentita dalla realtà visto che gli immigrati tendono a ricevere cospicui aiuti sociali, perché con le loro famiglie numerose consumano sovente piú di quello che producono, nonché a ridurre il benessere sociale per via delle loro esternalità negative (aumento della criminalità, riduzione dell’educazione media, etc.).

Una seconda irrealistica assunzione è che i fattori di produzione, quali l’energia, la terra, le materie prime, siano disponibili in quantità illimitata, assolutamente ridicolo su un territorio al limite del collasso urbanistico, oramai quasi privo di materie prime e di abbondanti fonti di energia sostenibile come la Lombardia (e in misura minore l’Europa).

A tal riguardo va poi aggiunto che alcuni economisti (celebre il modello di Solow) sostengono che si potrebbe fare un uso piú efficace delle risorse (migliori tecnologie), ma in caso di risorse limitate questa ipotesi può essere valida solo nel breve o medio periodo perché una volta raggiunta la massima efficienza energetica non si può piú migliorare.

Questa semplificazione si ricollega inoltre alla giustificazione che “gli immigrati servono a sopperire il pericoloso calo demografico che stiamo subendo e ridurre quindi l’invecchiamento della popolazione”.

Naturalmente, la tesi si basa sull’ingenua supposizione che la crescita demografica possa portare a un miglioramento del benessere grazie allo sfruttamento delle economie di scala permesse da una domanda sempre maggiore.

Dato che, in presenza di risorse limitate, i rendimenti di scala sono tuttavia crescenti solamente fino a certo punto, si conferma in realtà la tesi di Malthus, cioè che nel lungo termine un aumento della popolazione porti a una riduzione del salario reale.

Certi economisti affermano che il lungo periodo di aumento demografico e crescita del salario reale iniziato dalla seconda metà dell’Ottocento abbia invalidato il modello maltusiano.

Peccato che questo lungo periodo di crescita economica e demografica è stato permesso grazie all’incredibile disponibilità di energia a basso costo data dai combustibili fossili e, con le attuali conoscenze, pare proprio che finirà una volta superato il picco di produzione di questi ultimi.

L’aggiunta del problema dell’invecchiamento della popolazione alla giustificazione dell’immigrazione la porta inoltre a un livello di insensatezza ancora maggiore: dato che l’attuale popolazione in Europa non è sostenibile nel lungo periodo, gli immigrati non farebbero altro che ritardare il problema dell’invecchiamento della popolazione aumentandone oltretutto la dimensione, e rendendone di conseguenza ancora piú difficile la soluzione!

Vi è poi una terza ridicola semplificazione da menzionare, cioè che la produttività del lavoro degli immigrati sia la stessa della popolazione autoctona, poiché risulta particolarmente comico come detta ipotesi sia smentita, non solo dalla realtà, ma anche dalla precedente giustificazione “gli immigrati servono perché fanno i lavori che noi non vogliamo piú fare” (cioè quelli a bassa produttività).

Quest’ultimo punto va poi approfondito anche per quanto riguarda l’impatto degli immigrati sulla redistribuzione del reddito all’interno della popolazione indigena: l’immigrazione va difatti ad aumentare la disuguaglianza tra ricchi e poveri.

Questo perché, da una parte, l’aumento di offerta di lavoro causato dagli immigrati porta a una riduzione del salario reale, diminuzione che colpisce il benessere dei lavoratori indigeni (che in genere sono il ceto piú povero), mentre, dall’altra parte, l’aumento della domanda di risorse come terra e capitale causato dagli immigrati porta ad un aumento del loro prezzo (cioè affitti e tassi d’interesse), incremento che favorisce quelli che percepiscono queste rendite (che in genere sono il ceto piú ricco).

Dato che la scienza e i media sono spesso manipolati dalle lobby economico-finanziarie (ceti ricchi) non dovrebbe quindi risultare difficile capire perché al pubblico l’immigrazione sia presentata spesso come una risorsa non solo importante, ma addirittura necessaria.

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Nasce il sito di Grande Lombardia

Padri Fondatori

Ecco finalmente l’atteso sito di Grande Lombardia, il movimento etnonazionalista dei Lombardi nato il 6 novembre 2013, nel suggestivo scenario medievale del Castello Visconteo di Pavia.

Ci stavamo lavorando da diverso tempo e lo lanciamo solo ora proprio perché volevamo fare le cose per bene; come potete notare oltre alla versione in toscano c’è quella lombarda (milanese classico) e inglese.

Ci scusiamo per l’attesa ma era necessario per potervi presentare un prodotto cosí ben confezionato e atto alla bisogna propagandistica.

Ma passiamo ora direttamente all’argomento del sito stesso, Grande Lombardia, la nostra associazione politica.

La scorsa estate il Movimento Nazionalista Lombardo fondato da Adalbert Ronchee e Pol Sizz è stato sciolto per poter dare spazio a questo nuovo progetto lombardista che senza rinnegare le posizioni di partenza le ha estese a quella che a conti fatti è la Lombardia storica ossia tutto il Settentrione d’Italia, senza cui la Lombardia etnica rimarrebbe un troncone sí autosufficiente ma certamente parziale da un punto di vista etno-culturale.

Come MNL ci eravamo soffermati sulla Neustria longobarda, fondamentalmente, vale a dire Aosta, Piemonte, CH lombarda, Regione Lombardia, Emilia fino al Panaro e altri brandelli di territorio padano appartenenti a varie realtà amministrative; ora invece allarghiamo il discorso lombardista innanzitutto all’Austria longobarda ossia Trentino, Lombardia venetizzata e Friuli, aggiungendovi Liguria, Romagna, Alto Adige, Venezie che per quanto non propriamente lombardi rientrano nel contesto galloromanzo cisalpino e alpino-padano.

Integriamo dunque alla primigenia Lombardia etnica la Lombardia storica, o Grande Lombardia (da cui il nome dell’associazione), che costituisce il Nord Italia e che forma un panorama a sé stante all’interno del quadro etnico italico.

L’associazione politica Grande Lombardia, nata nell’antica capitale longobarda Pavia, fondata dal bergamasco Pol Sizz (Presidente), dal sepriese Adalbert Ronchee (Segretario), dal pavese Achill Beltramm, dal friulano Ludovic Colomba e dal vogherese Lissandar Poeugg, si propone di affrancare mediante l’etnonazionalismo lombardo (Lombardesimo) il sentimento etnico di tutte le genti cisalpine, granlombarde, che possono dirsi tali perché fondamentalmente evolutesi dalla Gallia Cisalpina e dalla Langobardia Maior (e “Lombardia” da cosa deriva difatti?); logicamente non si tratta di fare i nordicisti ma di preservare l’Identità specifica dei Lombardi che è il risultato dell’armonica fusione tra Protocelti, Galli e Longobardi, senza dimenticare popoli “minori” come Liguri, Reti, Etruschi, Venetici, Romani e Goti, che hanno certamente contribuito all’edificazione della Lombardia, o come la chiamiamo noi, della Grande Lombardia.

Grande Lombardia, sí, che abbraccia le terre dalle Alpi Occidentali a quelle Orientali e da quelle Centrali all’Appennino, accomunate dall’eredità innanzitutto gallica cisalpina romanizzata (già celto-ligure) e in secondo luogo dalla fondamentale impronta longobarda che ha caratterizzato quasi tutto il Nord della Repubblica Italiana, assieme alla Toscana; nel Medioevo se un Transalpino doveva varcare le Alpi diceva: “Vado in Lombardia”, e non “In Italia”.

I territori estromessi dal novero lombardo etnico ma inclusi in quello granlombardo, al di là di quelli orientali dell’Austria longobarda, sono stati poco e tardi longobardizzati (Liguria, Bologna e Ferrara) o per niente colonizzati dai Longobardi (Romagna, coste veneto-friulano-giuliane e immediato entroterra), oppure appartengono geograficamente e storicamente alla Lombardia (Tirolo meridionale e Isonzo) ma etnicamente sono oggi popolati per lo piú da allogeni (Bavari e Sloveni, o Croati in Istria).

La nostra tenzone identitaria è rivolta alle realtà galloromanze cisalpine longobardizzate e dal Medioevo ritenute giustamente lombarde (e qui basti pensare a chi costituì la Lega Lombarda). Città come Trento e Verona fino al Medioevo parlavano lombardo e non è certo azzardato ipotizzare che il Veneto sia stato linguisticamente unificato dalla Serenissima spezzando quel continuum linguistico che doveva esserci in tutto il Nord grazie alla sovrapposizione di Celti e Longobardi latinizzati. Fermo restando che i Veneti antichi non erano Celti ma con tutta probabilità propaggine settentrionale della famiglia italica latino-falisca.

Il nostro movimento prende dunque le mosse dalla realtà etno-culturale genuina della Lombardia, unendo le due Lombardie storiche, occidentale e orientale, nel nome della loro comune eredità e delle sfide future che ci attendono per non finire inghiottiti nel gorgo repubblicano italiano e dunque mondialista.

L’esperienza lombardista precedente è stata una sorta di laboratorio, di cammino preparatorio al grande salto di qualità che punta a riunire tutti i Lombardi sotto l’insegna della Croce Lombardista, delle Croci Lombarde e del Ducale Visconteo, del Biscione; siamo un movimento politico ma anche culturale che non punta ai voti, alle poltrone, ai quattrini, ma ai Lombardi e alle Lombarde della Grande Lombardia che con noi vogliono battersi per l’affrancamento, la difesa, la promozione e l’auto-affermazione, innanzitutto etnica, di quella che è una vera realtà sub-nazionale. Vogliamo edificare un’Italia per davvero etnica, non piú appiattita sulla sua Repubblica postbellica che è un mero contenitore di popoli, perché solo cosí essa può avere un senso sgombrando il campo dalle banalizzazioni leghiste fatte di Padania ed esaltazione dell’artificiale Svizzera o di altre ridanciane “piccole patrie”.

Con noi ri-nasce la Lombardia medievale, che è la Lombardia vera. Con noi ri-nasce l’identitarismo lombardo che non è un artificio ma la presa di coscienza etno-culturale che a partire dal Medioevo ha accomunato le genti della Gallia Cisalpina-Longobardia-Lombardia.

Partendo dal passato, viviamo il presente, nella prospettiva del futuro, perché senza radici l’albero muore e diventa facile preda dei parassiti e dei “disboscatori” globalisti.

Siamo etnonazionalisti ma non indipendentisti, perché l’etnonazionalismo non è un cavallo di Troia di quell’internazionalismo progressista di cui gli indipendentismi tradizionali si nutrono. Logicamente dipende poi dalle situazioni storiche, non è mai esistito un sentimento secessionista di matrice “padana” prima del 1996. Tale fenomeno è piú radicato nel Meridione italiano.

E ricordatevi che, ad ogni modo, prima di ogni discorso autodeterminatore si deve impostare un serio e convincente discorso etnonazionalista perché altrimenti è del tutto vano auspicare anche solo un federalismo serio in Italia: se nessuno sa che è lombardo a che serve parlare di referendum per l’indipendenza? E allo stesso modo a che gioverebbe una Lombardia libera se consegnata agli allogeni e all’estinzione lombarda? Troviamo molto piú serio e realista un discorso lombardista rispettoso di quella cornice storica italiana che va giustamente emendata dagli stereotipi d’Oltreoceano. Del tutto disonesto ridurre l’Italia ai difetti, solitamente, meridionali. Sia poi chiaro che l’Italia è una cosa, e lo stato italiano un’altra. Lungi da noi difendere l’attuale baracca repubblicana.

Non siamo spacconi ma razionali, concreti e onesti Lombardisti panlombardi, che non vogliono fare il passo piú lungo della gamba bruciandosi in partenza. Prima viene la genuina Identità, poi la questione politica, anche perché parlare di Identità significa prendere le distanze da ogni menzogna universalista.

Noi siamo scesi in campo, abbiamo messo la faccia, e ci impegneremo sino in fondo per la sacrosanta lotta identitaria, che è una lotta per la vera democrazia e la vera libertà di Lombardi, Italiani ed Europei. Ed essere liberi significa come prima cosa liberarsi dal sistema dentro sé stessi.

Auspico che i Lombardi possano seguirci costantemente, interagire e confrontarsi virtualmente per poi farlo dal vivo, nella speranza che molti possano decidere di schierarsi attivamente dalla nostra parte, nell’interesse del bene piú prezioso che abbiamo: la Lombardia.

Svegliati dall’incubo mondialista, Lombardo, e scoprirai Grande Lombardia.

Dal Monviso al Nevoso, dal Gottardo al Cimone.

Saluu Lombardia!

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