Tutto in famiglia

Molti ritengono la famiglia la base della società, punto di partenza per lo sviluppo personale in una vasta pluralità di ambiti.

Questo punto è doppiamente vero, specie per quanto riguarda la famiglia Italica cosí etnicamente definita. È innegabile infatti che dalla prima istruzione al futuro lavorativo è la famiglia che plasma l’individuo, in relazione alle proprie possibilità sia mentali che economiche. E ciò accade in tutti i Paesi del mondo.

Ciò che differenzia la famiglia italiana, anche solo dalle corrispettive Europee, è l’imperante “familismo amorale” che impone il nucleo famigliare, la cui ampiezza può essere anche molto elevata, come fine e non solo come base dell’operato di ogni suo componente.

È tipicamente italiano il fenomeno per cui la persona si presenti come un tutt’uno con il corredo parentale che la precede, e che si riesca a immaginare il concetto di emancipazione solo come un adeguamento e un adattamento delle potenzialità personali ai bisogni di quella organizzazione chiusa e gerarchizzata che è la famiglia.

Basti pensare a titolo di esempio alla numerosissime imprese a conduzione familiare presenti nel Paese, che diventano sempre piú chiuse e torbide a mano a mano che si procede verso Sud.

Non è difficile immaginare come una tale arretratezza culturale sia alla base di un altrettanto grave arretratezza economica, con una società chiusa in compartimenti stagni miranti al proprio tornaconto anziché ad un reale benessere collettivo.

Da questo substrato, a metà fra la commedia (all’italiana) e la tragedia, credo derivi l’orribile abitudine di appore il cognome prima del nome nella firma.

È questa la morale che l’imponente immigrazione italiana dei decenni passati ci ha lentamente imposto come normalità.

Ma questa è solo una parte del problema, quella storicamente piú rilevante. Oggi, in effetti, come contraltare di questa composizione sociale si trova una visione della famiglia del tipo “progressista”, dove non vi sono piú limiti e chiusure, dove il ruolo di genitore è, per cosí dire, aperto al pubblico, e dove un numero identifica padre madre e intermediari.

Non sfugge che il “progresso” visibile oggi non sia altro che il riconoscimento da parte delle Istituzioni di forme di parafilia via via piú gravi e degenerative. Per avere uno scorcio di futuro basti pensare alla situazione di Paesi come la Danimarca, considerato il piú aperto (e disponibile) in questo ambito, dove è possibile per una coppia gay ottenere il corredo cromosomico mancante semplicemente chiedendolo in prestito ad un’altra coppia omosessuale del sesso opposto, in un reciproco scambio e in felice armonia.

L’organizzazione mondiale della sanità definisce l’omosessualità come una “variante naturale del comportamento umano”, cosí giustificando implicitamente ogni politica volta a racimolare consensi con leggi familicide.

Abbiamo forse perso in nome del politicamente corretto anche quei pochi principi cardini che ci rimanevano e che nel corso dei millenni hanno dato le fondamenta alla Civiltà nella sua forma piú elevata, il che dovrebbe far riflettere anche i piú scettici – o progressisti, dipende dove vediamo il Dogma – sulla possibilità che forse quello era un modello funzionate.

L’idea che siano uomo e donna a poter procreare non è certo un’invenzione sessista e omofoba, ma certo l’intento sempre più evidente di molti governi Europei di farla passare come tale lascia anche nello spettatore comune un vago sentore di sospetto riguardo a chi sia rivolto l’operato dei nostri rappresentanti.

Per il bene non solo della Lombardia, ma di tutta la civiltà Europea minacciata da una decadenza sotto falso nome, è necessario recuperare il concetto di famiglia Naturale, da cui sviluppare una società sana e scevra da tarli e paranoie collettive.

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