Come saprete, pochi giorni fa si è svolto un referendum per l’indipendenza della Scozia: la consultazione si è conclusa con una vittoria degli unionisti, i quali hanno ufficialmente raggiunto una quota del 55% dei consensi.
Nonostante il Regno Unito non abbia una fama di paladino alla difesa dei diritti delle minoranze etniche al suo interno (irlandesi, scozzesi e gallesi), questa volta ha deciso di concedere la possibilità di organizzare un referendum d’indipendenza.
In teoria, si tratterebbe quindi di un bel traguardo considerato che questa opportunità di esercizio del diritto di autodeterminazione dei popoli non vuole essere concessa a territori come la Catalogna in Spagna o le varie nazioni padano-alpine in Repubblica Italiana.
Nella pratica, vi sono tuttavia alcuni dubbi sulla trasparenza e la correttezza di questo referendum.
Sembra difatti troppo strano che il Regno Unito, uno dei membri piú attivi della NATO, abbia concesso la possibilità di separarsi a una regione d’importanza geopolitica come la Scozia.
Non ci si può proprio dimenticare che nelle acque territoriali della Scozia sul Mare del Nord ci sono numerosi giacimenti di petrolio e che sulle coste scozzesi si trova la HMNB Clyde, l’importante base operativa della Royal Navy che ospita, tra l’altro, i sottomarini nucleari Trident.
Un importante dubbio è poi legato all’elettorato del referendum: sono difatti stati ammessi al voto gli immigrati con cittadinanza dell’Unione Europea e del Commonwealth residenti in Scozia, ma non gli scozzesi che risiedono all’estero.
Questo sembra chiaramente una scelta a vantaggio del no, visto che gli immigrati hanno tutto l’interesse affinché la Scozia rimanga parte dell’Unione Europea e del Commonwealth e che gli scozzesi all’estero sembravano per lo piú favorevoli all’indipendenza.
L’idea che viene quindi a formarsi è che Londra abbia subdolamente permesso questo referendum con il fine di mostrare al mondo quando tengono al rispetto dei diritti fondamentali e sapendo poi bene di ottenere alla fine un risultato tale da far restare la Scozia sotto il regno di Elisabetta II .
La forte rimonta degli indipendentisti nei sondaggi appena prima del referendum ha fatto però perdere tutta questa sicurezza a Downing Street, tanto da costringere il premier Cameron a correre ai ripari e siglare un “contratto” con gli altri partiti inglesi per conferire piú poteri e autonomia alla Scozia in caso gli scozzesi avessero scelto il “better together”.
Cosa che vagamente ricorda gli 80 euro che Renzi ha promesso alle elezioni europee di questo maggio e che gli hanno garantito ampi consensi elettorali.
Il fatto che delle (misere) promesse di maggiori ritorni di denaro riescano a manipolare in questo modo le masse suggerisce come è ancora necessario far capire alla popolazione che non si può vendere la propria identità, ma anche la propria qualità della vita, per effimeri vantaggi economici di breve periodo.
Per questo motivo, noi di Grande Lombardia abbiamo sempre puntato innanzitutto sulla rinascita e sull’affrancamento del sentimento nazionale Lombardo, piuttosto che all’indipendentismo tout-court.
Sappiamo bene che l’economia è importante, ma l’autodeterminazione dei popoli non deve basarsi solo ed esclusivamente su questi fattori tralasciando le questioni etniche, storiche, culturali e sociali.
Del resto che senso avrebbe una “Regione Lombardia” (da non confondere con la Lombardia etnica) indipendente, ma pur sempre schiava dell’atlantismo, abitata da gente che non si sente italiana solo perché odia le inefficienze della repubblica italiana (e non perché di etnia, cultura, lingua, storia diversa) e sovrappopolata per colpa degli immigrati?
Questo non significa che vogliamo restare sotto la Repubblica Italiana, ma che la lotta di autodeterminazione delle Nazioni senza stato non deve limitarsi alla richiesta del referendum per l’indipendenza.
E qui non si può non pensare all’ingenuità di alcune correnti indipendentiste nel pensare che gli immigrati la smettano di votare i partiti unionisti degli stati fantoccio mondialisti, i quali fanno di tutto per concedere loro case popolari, agevolazioni, sussidi, etc. a danni degli indigeni, per sostenere la causa indipendentista.
Tornando al referendum scozzese, per quanto alcuni video che circolano su internet mostrino in maniera piuttosto inequivocabile come siano stati perpetrati brogli nel conteggio dei voti, la forte differenza (10%) tra il sí e il no implica che molti scozzesi hanno comunque deciso di votare per il mantenimento dello status quo.
Va tuttavia fatto notare come nei sondaggi post-voto gli indipendentisti fossero la netta maggioranza (oltre il 60%) tra i piú giovani e si riducessero poi a un’esigua minoranza (circa il 30%) nelle fasce piú anziane della popolazione.
Questa presa di coscienza dei piú giovani ci lascia quindi con una forte speranza: i giovani non guardano ai meri ritorni economici del presente, ma stanno iniziando a pensare al loro futuro a lungo termine.
L’autodeterminazione dei popoli è solo questione di tempo.