La forza mediatica raggiunta dall’italiano negli ultimi cent’anni ha, purtroppo, condotto a un progressivo abbandono (e a penose sostituzioni con neologismi toscaneggianti) dei molti lemmi lombardi di non immediata intercomprensibilità con l’italiano. Sebbene l’intensità dell’italianizzazione del lessico sia massima nei dialetti cittadini (come milanese e torinese), si tratta comunque di un preoccupante fenomeno che interessa tutti i dialetti del lombardo, dal modenese al ticinese e dal bresciano al cuneese.
La cosa risulta alquanto spiacevole poiché, oltre ai preponderanti vocaboli di etimologia latina, il lessico lombardo contiene comunque un cospicuo numero di lemmi di origine celtica e germanica e la maggioranza tra i lemmi abbandonati riguarda proprio quest’ultima categoria di parole. In particolare, bisogna ricordare che la conoscenza di questa categoria di termini è fondamentale per riuscire a comprendere l’origine storico-linguistica di molti toponimi lombardi.
Quando i romani conquistarono militarmente la Gallia Cisalpina, mantennero difatti la toponomastica che i nostri avi celtici e celto-liguri avevano creato (ad esempio, tutti i toponimi con suffisso in -ate e -ago o con suffisso in -ask e -aska) o che avevano ripreso dagli etruschi quando li scacciarono dalla bassa pianura padana. I conquistatori si limitarono quindi a latinizzare la già esistente toponomastica (Medhelan –Mediolanum, Bherg – Bergomum, Mutna – Mutina, Wehr Celt – Vercellae, etc.) e ad attribuire un nome alle poche nuove fondazioni che fecero (Placentia, Julia Taurinorum, Alba Pompeia, etc.). Con l’insediamento di popolazioni germaniche nell’alto medioevo si aggiunsero infine toponimi di origine gota e longobarda (basti pensare a tutti i toponimi contenenti le parole “fara” e “sala” o derivanti dal termine “gaggio” o terminanti con il suffisso -eng).
Tornando al lessico in senso stretto, il lessico lombardo si basa, come già accennato, essenzialmente su quello del latino. Per la precisione, esso si basa sul lessico del latino volgare che era parlato dai galli cisalpini: si trattava quindi di una loquela usata quasi esclusivamente nel parlato e che per ovvie esigenze di rapidità e univocità di comunicazione aveva un vocabolario semplice ed essenziale. Purtroppo il soppianto delle lingue celtiche anche a livello di loquela quotidiana fece sì che, ad eccezione della toponomastica, il lessico originario fosse quasi interamente sostituito da quello latino. Difatti, nel lombardo contemporaneo i lemmi di origine celtica sono oramai pochissimi e vengono sempre meno utilizzati: è il caso ad esempio di “arent” (da “renta”), di “rusca” (da “rusk”) o di “bricch” (da “brik”).
Naturalmente il volgare latino appreso dai nostri avi aveva già inglobato numerosi prestiti dal greco (ai tempi era comunque la più importante lingua commerciale) che sono entrati nel lessico lombardo: è il caso ad esempio del celebre “cadrega” (dal greco “kathedra”) e di altri termini come “carottola” (dal greco “karoton”).
Con l’arrivo dei goti e dei longobardi, a questa base essenzialmente latina si unirono numerosi nuovi lemmi, che, a differenza di quelli celtici, sono arrivati ai nostri giorni in misura nettamente maggiore. Abbiamo così vocaboli di origine longobarda come “bicer” (da “bikar”), scossà (da “skauz”) o “stracch” (da “strak”), e di origine gotica come “magatt” (da magaths), “biott” (da “blauths”) o “taccà” (da “thikkjan”).
Come per la maggior parte delle lingue europee, durante il resto del medioevo furono introdotte parole tecniche e scientifiche derivanti dall’arabo e parole religiose derivanti dall’ebraico, come “zuccher” (dall’arabo “sukkar”) o “sabbet” (dall’ebraico “sabbath”).
Per vedere un rilevante ampliamento del lessico lombardo bisogna attendere il sedicesimo secolo, quando il fiorentino inizia a imporsi come lingua letteraria e il francese come lingua diplomatica internazionale. Va inoltre notato che la separazione politica che, a cominciare dal medesimo secolo, ha iniziato ad affliggere i Lombardi comportò, tra le altre cose, anche a differenti sviluppi lessicali dei vari dialetti lombardi.
Se il dominio veneziano ha avuto influenze relativamente marginali su bergamasco e bresciano, il dominio spagnolo portò invece nel Ducato di Milano una minima quantità di nuovi termini, come “scarligà” (da “escarligar”) o “locch” (da “loco”), che entrò a far parte prima del milanese e successivamente dei dialetti confinanti, mentre il francese influenzava le parlate sotto il dominio sabaudo.
Per questioni principalmente culturali (sviluppo dell’illuminismo), dagli inizi del Settecento alla metà dell’Ottocento la lingua di maggiore influenza per il lombardo rimase comunque il francese, che prestò numerosi lemmi ai nostri vernacoli, come “buscion” (da “bouchon”) o “rebellott” (da “rebellion”).
In seguito la creazione del Regno d’Italia diede il via alla fortissima toscanizzazione che le 4 lingue lombarde stanno tuttora subendo.
L’evoluzione anche lessicale di una lingua è ovviamente una cosa normalissima che ha interessato, interessa e interesserà tutte le loquele del mondo, ma nel caso del lombardo è diventata talmente forte che, più che a un’evoluzione, si sta assistendo a un’involuzione della lingua.
Adalbert Ronchee