Uno dei simboli più rappresentativi, se non il più rappresentativo, della Lombardia è certamente il Biscione visconteo, le cui radici affondano nella storia di Milano e della stessa Lombardia.
Il Biscione rappresenta un simbolo ctonio, mitologico, pregno di significati che si potrebbero accostare a quelli del più noto basilisco, una bestia mitica, molto ricorrente nei racconti medievali, cui veniva attribuito il potere di uccidere col solo sguardo o col proprio fiato pestifero.
A questo proposito, ecco spuntare il drago Tarantasio, un mostro che secondo la leggenda infestava le acque del prosciugato lago Gerundo, ubicato in quella che oggi è la Gera d’Adda, al confine tra il Milanese e il Bergamasco; questa figura si ricollega a quella di altre fiere tipiche del mondo celtico (draghi appunto) cui veniva attribuito il mortale potere di uccidere col miasmatico fiato, proprio come il grecizzante basilisco. Appare utile ricordare che il drago, mitico animale acquatico, ben poteva adattarsi ad un clima paludoso, come quello padano degli albori, contraddistinto da primitive civiltà celto-liguri palafitticole.
Si dice che questo drago Tarantasio terrorizzasse la zona uccidendo e divorando fanciulli (ed ecco una prima interpretazione dell’uomo ingollato dal Biscione) e che per questo venne ammazzato dal capostipite dei Visconti che lo immortalò poi nel proprio stemma, in ricordo dell’impresa. Questa è chiaramente una leggenda, che peraltro coincide col prosciugamento del lago lombardo.
Decisamente più veritiera è invece l’ipotesi che vuole il Biscione vipera adorata dai Longobardi. Essi erano molto superstiziosi e portavano al collo amuleti a forma di vipera, azzurra, inquadrata come proprio animale totemico (forse riprendendo anche il bronzeo serpente issato da Mosè nel deserto per guarire gli Ebrei morsi dai rettili desertici inviati da Dio come castigo).
Pare poi che questo simbolo sia passato al comune di Milano e da lì acquisito dai Visconti che lo fecero il proprio simbolo.
Nell’accezione longobarda la vipera, o bissa alla milanese, avrebbe un significato positivo, ctonio, da cui la vita fiorirebbe invece di essere annientata. E questo è un simbolo di chiara ispirazione matriarcale che vede nella Madre Terra, la Dea Madre, l’origine della vita, vita che da essa nasce e ad essa ritorna.
Un’altra ipotesi, suggestiva più che reale, vuole che il Biscione sia invece un simbolo orientale strappato dal capostipite dei Visconti, Ottone, durante le Crociate, ad un “infedele” ucciso in combattimento, “infedele” finito poi, nello stemma, tra le fauci del serpente a mo’ di contrappasso per simboleggiare la vittoria viscontea sui musulmani.
In effetti in alcune rappresentazioni, e descrizioni araldiche, compare una figura umana descritta come “moro” e non più come fanciullo roseo, e a questo punto potrebbe anche esservi una sovrapposizione dell’impresa milanese nella cosiddetta Terrasanta, citata anche da Giuseppe Verdi nel suo brano “Oh Signore dal tetto natio” dell’opera ” I Lombardi della prima crociata”.
Proprio qui appare interessante la similitudine che c’è tra la leggenda del Drago Tarantasio e la leggenda di San Giorgio. Anche secondo questa leggenda, ambientata però in Libano, il cavaliere San Giorgio riuscì a sconfiggere il terribile drago che infestava le acque di un lago, salvando così dal pericolo gli abitanti locali. Il quadro si fa ancora più suggestivo se pensiamo al fatto che sia il Biscione Visconteo che la Croce di San Giorgio siano dei simboli strettamente legati alle Lombardie, ai Visconti e all’Insubria in primis.
La figura guerriera di San Giorgio, al pari di San Michele, venerato anche esso dai nostri Avi Longobardi (per i quali la sua figura si concilliava bene con quella di Odino), rappresenta uno degli esempi di armonica fusione tra elementi pagani e cristiani e naturalmente la stessa cosa si può dire sul Biscione Visconteo stesso; da una parte simbolo longobardo di origine pagana e dall’altra simbolo dei crociati lombardi che sconfiggono il semita in battaglia.
Rimanendo fedeli all’ipotesi longobarda, l’uomo tra le sue fauci potrebbe essere tranquillamente un simbolo ctonio nascente, sebbene l’ipotesi del Moro fagocitato, a rappresentare la vittoria personale viscontea in Palestina, abbia il suo fascino.
Un’ultima interessante ipotesi, teorizzata da alcuni ambienti insubricisti, vede nel Biscione visconteo un richiamo a quegli antichi dragoni gonfi d’aria, e issati in cima ad una picca, che venivano utilizzati come vessillo da alcuni popoli germanici ma anche iranici, soprattutto a ridosso del limes; potrebbe anche darsi che in Pannonia, ove erano siti prima di dilagare nella Pianura Padana, i Longobardi abbiano acquisito questo simbolo portandolo in eredità a Milano, dove poi divenne emblema comunale e visconteo.
Il Biscione è un animale totemico, longobardo, passato poi al comune di Milano e ai Visconti, che ne fecero il proprio stemma (sempre utilizzato però da Milano, dagli Sforza al Lombardo-Veneto, finendo anche per rappresentare ambiti commerciali, pubblicitari e sportivi milanesi).
La bissa milanesa conserva a distanza di secoli il suo diuturno fascino e la vediamo come simbolo ideale a rappresentare la Lombardia etnica (contrapposta al Triveneto, nonchè quella che fu Austria longobarda, il cui simbolo più importante a livello storico è il Leone di San Marco), assieme all’Aquila imperiale di retaggio latino-germanico. Del resto, il vessillo ducale dei Visconti è caratterizzato proprio da questi due simboli inquartati in una bandiera bianco-dorata, e recuperarlo è sicuramente un degno tributo nei confronti di coloro che hanno gettato le basi della moderna Lombardia e che hanno fatto di Milano il suo capoluogo nonché la città precipua del Nord Italia.
Un’insegna migliore, senza dubbio, dell’attuale bandiera verde con rosa camuna bianca, che banalizza un nobilissimo simbolo camuno meglio rappresentato, secondo noi, dallo svastika che riprende una reale incisione rupestre (Carpene) di chiaro retaggio solare indoeuropeo.
Pol Sizz
Lissander Cavall